Arte In Nuvola, fiera d'arte 2021 (recensione di U)

L'opinione dell'ignorante: Arte In Nuvola, fiera d'arte 2021

 

La pancia della balena m'inghiotte, sono Giona, dall'infinita pazienza.
La pancia della balena è bianca, di molto lontano potrebbe apparire vaporosa, una nuvola in gabbia.
Da qui le sue articolazioni in acciaio la svelano snella ed elastica, tuttavia la nostra misteriosa fiducia nell'architettura la rende solida.
Passeggio tra Mimmo Rotella, decine di Schifano, tutte le gallerie hanno uno Schifano. Di certo non è una figurina rara nell'album dei galleristi top.
Pezzi da novanta al pian terreno di Arte In Nuvola, nell'edificio ideato da Fuksas per l'EUR, ci sono anche diversi Tano Festa, mi pare d'intravedere un Vedova, Boetti qua e là, un certo Masi sembra anch'egli trovare molto posto per le sue ripetizioni non troppo ripetitive, Masi non avevo mai sentito ma che per qualche ragione risveglia in me il ricordo di non-so-chi. C'è più di un De Chirico, fa capolino anche il fratello.
Mafai? Mi pare, ora non ricordo. Franz Borghese di certo, inconfondibile, ma un po' macchietta, mi comunica l'idea di un caratteristica che non sarà mai un attore al cento per cento. Posso avere un'opinione, o no?!
Da una parte la familiarità dei nomi e delle poetiche già viste nelle gallerie e nei cataloghi garantisce l'importanza della fiera, dall'altra spero di trovare un mio percorso personale senza farmi influenzare dal brand.
A metà del pian terreno sto perdendo ogni speranza, finché m'illumino con la Pittura Digitale di Davide Maria Coltro. Io detesto la pittura digitale, ma qui c'è qualcosa di più. Il gallerista, estasiato, esalta l'algoritmo che crea la visione delicata e profonda a partire dalle immagini caricate dall'artista nel quadro-sistema, ma io, da uomo-fotografo, piuttosto mi soffermo sulle tinte che corrono all'impazzata verso il kitsch per fermarsi un attimo prima. Questi scatti sono perfetti, semplici, nebbiosi, evocativi, parlano di amore per la contemplazione e te lo servono in salotto su uno schermo di ottima, asettica, qualità. Tanto meglio. L'hardware scompare, l'immagine colpisce e poi sfugge, cambia, ne arriva un'altra. Passerei qui le ore, ma c'è così tanto da vedere che lascio Coltro a malincuore.
Dunque alla fiera, c'è vita!
Non sono stato sincero: in realtà ero già stato rapito dalla tridimensionalità del disegno di Sartorio, davvero lo si poteva confondere con un bassorilievo, ma non credo che ci sia qualcuno che ha bisogno delle opinioni di un illustre sconosciuto -pure ignorante d'arte- su Sartorio. E che dire di un paio di Balla che come sempre è grandissimo, tutte le volte che non è futurista, s'intende. Anzi, due Balla: un paesaggio di un quartiere della capitale, che signorile si affaccia sul Tevere e vi si oppongono, in primo piano e sull'altra sponda, un'impalcatura e la fatica dei lavoratori. La scelta del soggetto, la tavolozza, da ricordare!
L'altro non è che un vaso contenente i rami allegri delle stelle di Natale, ma bisogna trovarsi davanti alla tela per capire cosa vi sia di eccezionale nella sua banalità.

Balla, vaso con stelle di Natale

Giacomo Balla, (non chiedetemi il titolo... lo chiameremo...) Vaso con stelle di Natale

Sullo sfondo che è pregno dell'esperienza impressionista, nelle tinte e nel tocco, si stagliano il corallino ardore delle stelle e il verde fresco delle foglie, senza pretese ma per questo rassicuranti e invitanti, una gioia per gli occhi. E scusate se sono banale, alle volte sembro un vecchio brontolone che difende il figurativo e denigra l'astrazione, ma sono diatribe d'altri tempi.

Ed ecco, uno di fianco all'altro, quattro Mambor. C'è un panorama rassicurante, ma la figura umana che lo invade lo disturba e lo oltraggia, ambiguamente. Cosa fanno questi signori ben vestiti nel piatto silenzio della tela? Dove vanno e perché? Sono così disperatamente fuori posto, così precari. Sono fantasmi dai contorni solidi ma privi di tridimensionalità. Non siamo che decorazioni all'interno di un qualcosa di molto più grande e duraturo, facciamocene una ragione.

Mambor - Il cielo addosso, dettaglio

Mambor, Il cielo addosso (dettaglio)

Al piano superiore stanno gli "emergenti". Questa parola mi fa pensare ai salmoni che cercano di risalire la corrente, sbattendo freneticamente le code.
Speranzoso, salgo.

Non mi chiedete perché, ma a me Liquidance di Carlo D'Orta piace. Devo proprio giustificare questa sensazione? Non saprei, davvero. Forse i colori squillanti finiscono per essere la cornice ideale per lasciar filtrare l'impegno delle giovani ballerine, l'eleganza dello formazione, quel tempo in cui i corpi sono perfetti, inconsapevoli macchine di bellezza alla ricerca della gratificazione. Ma non è solo questo, c'è anche una gestione sapiente dello spazio, un'abbondanza di vuoto che concepisce poche figure ricche di forza, ulteriorermente rafforzate da un sostanziale bicromatismo. È una scelta asciutta, corretta. Potrei definirla, in una parola, "composizione".

Passo davanti a un certo Carlo Caruso, che annoda corpi come trecce di mozzarelle e ne distorce alcuni a-là-Bacon, qualche accenno qua e là. Mi convince.
Il mio occhio viene richiamato da Seline Burn, c'è tanto da vedere, anche qui al livello 1.

Ma quello che mi porterei via, se avessi soldi da soddisfare qualche capriccio, è un lavoro di Saghar Daeiri.

Saghar Daeiri, dettaglio

Saghar Daeiri, dettaglio di un'opera della giovane artista iraniana

Il gallerista spiega come la piscina sia una sorta di paradiso, il luogo attorno al quale dovrebbero raccogliersi persone spensierate. Ma c'è sempre qualcosa che non va, qualcosa che incombe. Un presagio piccolo che non va trascurato. È la storia dell'Iran, immagino, perennemente sull'orlo della catastrofe. Non conosco l'artista, si curamente è troppo giovane, ma la voglio immaginare tra i rampolli dell'elite benestante sotto gli scià. Travolti dalla rivoluzione prima e accomunati poi agli altri in una teoria di sfortune e privazioni. Nel disegno dell'acqua c'è un pizzico del grande Hockney, credo... perché no. Uno che di piscine se ne intende!

Devo dire che non sono un tipo che ride, anzi, sono una figura non dico triste ma quantomeno piatta. Poche cose mi fanno ridere, troppo poche. La maggior parte trovo l'ironia scontata, la satira spuntata e di conseguenza inutile. E invece, per una volta... per carità, non è che mi sia messo a shignazzare apertamente, ma Laurina Paperina mi ha fatto davvero ridere dentro. I personaggi che ha scelto per inscenare il massacro sono quanto di più innervato possa esserci in noi degli anni Ottanta, ma sorprendente è come coprano anche tre-quattro generazioni di fumetti, tanto da distrarci, alla prima lettura, dai ricchi riferimenti che sono più o meno manifesti, a partire dai richiami a Brughel, in singoli elementi e nell'impianto generale, fino a Dalì.

Laurina Paperina, Il sonno della ragione genera mostriLaurina Paperina, Il sonno della ragione genera mostri (dettaglio)

Un'apocalisse di sofferenza da sganasciarsi, in cui Droopy(!) sembra trovarsi a proprio agio. Fa pensare.

Detto questo, non mi resta che citare un tal Dan Perfect. Il nome è tutto un programma, non so quale ma lo è di certo.
Dato che a me piacciono i colori ocra e arancioni, sono rimasto affascinato dalla tavolozza del suo "Laocoön". Potrei stupirvi con una profonda riflessione sull'orgiastica esplosione di vita che gorgoglia sulla tela, complici gli squillanti copulanti dei colori acrilici, ma è inutile prenderci in giro, fate prima a cercare col primo motore di ricerca che vi capita qual è la poetica di Dan Perfect, io non ne ho idea. Magari tutto quello sprizzar vita è lo sprizzare via della vita di Lacoonte, il riverbero della sua incontenibile, massiccia presenza spirituale nel dominio dell'arte, tiro a indovinare con la prima idea che mi balena. Oppure Dan ci ha preso tutti in giro e si sta facendo una grassa risata leggendo qualche rapporto sulle sue quotazioni e non ha mai voluto dire nulla.

Ci vuol poco a menare per il naso un ignorante.

(U, OSPITE DEL SITO)