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via Appia L'Appia è seconda per antichità, ma prima per bellezza ed importanza, tra le grandi strade consolari che servivano la capitale. Tanto che, in tempi recenti, il parco dell'Appia ha una notevole estensione determinata dal grande numero di aree di interesse -sia paesaggistico che storico/archeologico- toccate dal suo percorso. La via Appia indusse il celebre poeta Stazio a definirla "Appia Longarum teritur regina viarum", e regina viarun è ancora oggi. Negli antichi tempi, ben due magistrati se ne occuparono espressamente e perfino Giulio Cesare fu "curator Appiae" ed anche meritorio, a detta del Gamucci che ne tesse l'elogio. Il nome deriva dal censore Appio Claudio Cieco che ne aprì un tratto nel 312 a.C., il quale inizia da porta S.Sebastiano e giunge fino a Capua. Intorno al 190 si ebbe il prolungamento della via a Benevento e Venosa ed infine la via giunse a Taranto, per terminare nell'importante città portuale di Brindisi: divenne così il principale sbocco di Roma per i suoi traffici con l'Oriente. la bella pavimentazione di via Appia Il tratto Benevento-Taranto-Brindisi perse ogni importanza e fu abbandonato quando, al tempo dell'impero, Traiano deviò l'Appia congiungendola con la Via Traiana che veniva dalle Romagne. A Benevento, il magnifico arco ancora visibile, celebra appunto le opere di Traiano e, non a caso, è posto al bivio tra l'Appia consolare e la via Traianea. A Brindisi, due alte colonne di marmo cipollino -una integra e l'altra conservata in piccola parte- indicano il limite estremo della via e, dall'uso di bere alla salute di chi s'imbarcava per l'Oriente dopo il faticoso viaggio lungo l'Appia -cerimonia che avveniva fra le due colonne in riva al mare- deriva il conosciutissimo modo di dire "fare un brindisi". La celebre via rimase a lungo inutilizzata per la decadenza dell'impero romano: sarà papa Pio VI Braschi che la riaprirà al traffico prosciugando la palude: essa, infatti, straripava di frequente inondando la via al punto da impedirne il percorrimento. Questa opera di sistemazione ebbe il definitivo compimento nel 1885, grazie a un efficiente scolo per le acque. La via, conservatasi durante le prime invasioni barbariche, ebbe invece a soffrire per l'opera dei Longobardi e dei Normanni, ma ancor più per le feroci lotte fratricide e guerre di fazione che straziarono Roma ed il suo agro nel Medioevo. Solo dal tardo Rinascimento l'Appia potrà risorgere per gli studi e gli sforzi dei numerosi archeologi ed appassionati storici, da Pirro Ligorio ad Ennio Quirino Visconti, al Nibby, al Canina, al Ripostelli. benemeriti del ripristino furono papi e nobili signori, quali ad esempio, fra i tanti, la duchessa di Chablais principessa di Savoia ed i Torlonia. una vecchia stampa fotografica ritrae la via Appia L'Appia assunse subito il carattere di strada signorile: vi sorsero ville stupende (uso che si è rinnovato ai giorni nostri ad opera dei più celebrati divi dello schermo che hanno la villa sull'Appia antica) come quella dei Quintili, nell'Agro romano, i cui avanzi erano chiamati la "Roma vecchia", per la loro vastità che li fa assomigliare alle rovine di un'antica città. Un particolare può sembrare strano, ed è quello che l'Appia presenti numerosissimi sepolcri e vastissime catacombe lungo il suo percorso, tanto da creare un'apparente incongruenza fra ville signorili e cimiteri. Nessuno oggi si costruirebbe una villa in un sepolcreto ma evidentemente così non era al tempo della Roma antica, quando il culto dei morti era altissimo e la bellezza delle sepolture accresceva prestigio alla villa ed alla località dove sorgeva. A quel tempo si usava seppellire i morti in appositi luoghi extra urbem e la zona dove fu aperta l'Appia era appunto un vastissimo cimitero; la strada quindi si faceva largo tra le tombe. Le inumazioni continuarono anche dopo che vi andarono ad abitare i ricchi del tempo, perché i Romani ambivano moltissimo essere seppelliti lungo le grandi strade, per tramandare a quanta più gente possibile il loro nome e le loro gesta. Così l'Appia viveva di giorno e di notte, poiché le leggi imponevano che i morti fossero seppelliti dopo il tramonto, di notte, al lume delle torce, uso che i nobili mantennero in seguito anche nei funerali che, per sfoggio di opulenza, vollero diurni. Solamente dopo la seconda guerra mondiale fu abbandobato quest'usanza nell'importante percorso. La parte più attraente dell'Appia è oggi il tratto che va dalla tomba di Cecilia Metella a Casal Rotondo; conserva per molti tratti la pavimentazione originale con le Crepidines (marciapiedi) e, all'Osteria delle Frattocchie, si congiunge con l'Appia Nuova. E' comunque zona per lo più fuori dei quartieri urbani. La via fu anche detta di S. Sebastiano, perché porta alla chiesa omonima e non è raro trovarla indicata così in guide ed itinerari fino alla prima metà del secolo scorso. E' bene ripercorrerla passando in rassegna le costruzioni più importanti, è noto infatti che l'Appia era ricca di monumenti di notevole bellezza ed interesse. I grandi incisori come Piranesi e Rossini ci permettono oggi -attraverso i loro disegni- di vedere com'erano certi monumenti che il tempo, ma molto più spesso la mano dell'uomo, hanno inesorabilmente distrutto o gravemente menomato, tanto da considerare questa nobile via defraudata e violentata del suo antico splendore. |
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