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Terme di Caracalla Le Thermae Antoninianae o Thermae Caracallae sono le terme romane certamente più note e celebrate ai nostri giorni nei quattro angoli del mondo, grazie alla loro (pur contrastata) utilizzazione come sede di fortunati spettacoli di massa all'aperto. Furono fatte costruire agli inizi del III secolo dall'imperatore Caracalla, da questi presero la denominazione ufficiale di Thermae Antoninianae. Gli antichi le giudicarono concordemente magnificentissimae o extimiae, anche se poi furono superate in grandezza da quelle di Diocleziano, e nel V secolo erano ancora elencate tra le meraviglie dell'Urbe. Restaurate al tempo di Aureliano e poi di Diocleziano, lo furono ancora, per l'ultima volta, all'inizio del VI secolo per opera del re Teodorico, poco tempo prima che fossero rese inagibili per il taglio degli acquedotti eseguito dai Goti nel 537. S'alternarono poi periodi d'abbandono e periodi di parziale occupazione e di più o meno occasionale sfruttamento delle antiche strutture, anche per abitazioni. Infine tutto fu ridotto a "zona agricola", tenuta prevalentemente a vigneto da parte di enti e comunità ecclesiastiche e di proprietari di ville presenti nella zona. Sempre in atto rimase peraltro lo sfruttamento dei ruderi quale autentica cava di materiali pregiati (specialmente marmi, metalli, colonne, cornici e architravi) per uso edilizio: nel 1139, ad esempio, alcuni frammenti architettonici furono messi in opera nella chiesa di S. Maria in Trastevere. A lungo poi operarono nella zona le famigerate "calcare" che trasformavano in calce gli antichi marmi. Nel Cinquecento, le imponenti rovine -che nel Medioevo erano conosciute sotto vari nomi (l'Antoniniana, Palatum Antoninianum, ecc.)- furono oggetto di studi e ricerche da parte dei grandi architetti del tempo mentre si susseguivano le scoperte di opere d'arte. Nel corso del XIX secolo furono condotte numerose indagini e scavi che portarono tra l'altro, nel 1824, al recupero di ampi lembi di mosaici pavimentali policromi con ventotto figure di atleti, pertinenti a una delle palestre e ora conservati nel Museo Gregoriano Profano, in Vaticano. Le Terme di Caracalla si presentano con il corpo massiccio dell'edificio centrale propriamente balneare posto nel mezzo d'una vasta area aperta interamente circondata da un recinto esterno, variamente comprendente portici, sale, esedre e ambienti minori. Il complesso sorgeva sulle pendici del Piccolo Aventino volte verso la via Appia, in una zona già in parte occupata da giardini e da ville, non lontana dal quartiere popolare che si trovava tra la porta Capena e il Circo Massimo (donde la frequentazione di gente di condizione anche modesta). Per realizzare l'enorme spianata a terrazzo sulla quale le terme vennero costruite, furono necessari grandi lavori di sbancamento del terreno sul versante a monte e la colmatura, con la terra di risulta, di quello verso valle. Il recinto esterno, delimitato da un muro alto e poderoso, era quasi quadrato, con i lati di m 337 per 328. Il lato nordorientale -nel quale s'apriva l'ingresso principale di tutto il complesso- era costituito da un portico con una serie di ambienti su due piani, probabilmente adibiti a botteghe, che faceva da "sostegno" al terrapieno retrostante. L'edificio centrale dei bagni si sviluppava su una superficie rettangolare con i lati di m 220 per 114. Vi si accedeva dal lato di nordest attraverso quattro ingressi ed era organizzato con la successione degli ambienti principali -natatio, aula "basilicale", tepidario e calidario- sull'asse minore e ai due lati di quelli, sull'asse maggiore, dalla collocazione simmetrica dei vestiboli e degli spogliatoi, delle palestre contornate da vari ambienti e da due serie di quattro aule minori a fianco del calidario. Su uno dei lati minori si affiancano invece tre ambienti pavimentati con mosaico bianco e nero e originariamente coperti con volte a crociera (crollate in grossi blocchi che hanno nella parte superiore lembi di mosaico a girali bianchi su fondo nero, evidentemente pertinenti alla pavimentazione di un "terrazzo" verosimilmente destinato ai bagni di sole). Dalla palestra si passa in una serie di quattro sale, di pianta e dimensioni diverse, tutte riscaldate, aperte con ampi finestroni esposti a sudovest sul giardino per ricevere il sole fino al tramonto e intercomunicanti per mezzo di stretti passaggi obliqui per evitare dispersione di calore. Alcune erano munite di vasche al centro e una, a pianta ellissoidale e copertura a crociera, è forse da identificare con un laconicum o "sudatorio". Si entra quindi nel caldario (solo in parte conservato) che era una grande sala rotonda del diametro di m 34, sporgente per tre quarti all'esterno per ricevere al massimo l'insolazione dalla tarda mattinata fino al tramonto attraverso ampi finestroni ad arco. Originariamente era coperta con una cupola poggiata su otto giganteschi pilastri curvilinei (quattro dei quali sono conservati mentre degli altri restano le tracce) collegati tra loro da due ordini di archi. Al centro della sala era una vasca circolare mentre altre vasche erano collocate entro nicchie intercalate ai pilastri. A ogni pilastro era addossata, verso l'interno, una colonna di granito grigio e tra le colonne, in appositi nicchioni, aperti due per parte sui lati lunghi, erano alloggiate quattro vasche mentre una fontana rotonda era al centro del lato lungo settentrionale, in un vano con due nicchie contrapposte. La "basilica" era completata da due grandi ambienti laterali, comunicanti con le palestre, al centro dei quali erano collocate le due vasche di granito ora nelle fontane di piazza Farnese. Dal vano con la fontana rotonda, mediante quattro gradini, si scendeva nella natatio. Su uno dei lati lunghi si aprono due absidi (dove sono stati ora collocati quattro grandi capitelli compositi con figure di divinità, tra le quali Ercole "in riposo"), originariamente inquadrate da coppie di colonne di granito. |
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