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La fine

Luglio 2003 - Luglio 2004

Ebbene, pochi ma fedeli, la gazzetta chiude.

Ci è voluto un anno intero di attesa per un nuovo numero che non usciva per dover ammettere la sconfitta: non ho tempo, ho cose più urgenti, più belle e più brutte, che attendono il mio servigio.

Avrei anche pensato a surrogati di ripiego, ma... a che pro? Un blog? A che pro?

Questo non è un blog e se avessi voluto metterne su uno, non ci sarebbe neppure stato da mettere su del codice... Ci sono decine di sistemi pronti. Non è un blog, è un distillato.

In realtà, voleva essere tante cose, e io...
IO volevo essere L'UOMO TRASPARENTE.
Ogni bambino ha la sua mitologia personale, e l'UOMO TRASPARENTE era il modello che stigmatizzava qualcosa di unico nel mio piccolo mondo.
L'UOMO TRASPARENTE non ha segreti.
L'UOMO TRASPARENTE deve raccontare tutto quello che sente, perché solo così si sente leggero, INFINITAMENTE leggero.
E perché tutti sapessero, perché fosse chiaro come il quarzo ialino che non c'è nulla oltre il velo, ci voleva un mezzo universale. Oh, beh... ero già cosciente sin da allora che non ero affatto trasparente, bensì torbido.
Di più, probabilmente ambivo a liberarmi perché mi era sempre stato difficile farlo.
Peggio, ero cosciente che quel modello lo vedevo irraggiungibile, da lungo tempo.

NON sono l'UOMO TRASPARENTE.
Non mi sento leggero.

C'era anche un altro fine per scrivere... in questo mondo apparentemente connesso da fibre sottili e onnipresenti: quello di poter far sapere a quelli che mi hanno conosciuto, più mondanamente e banalmente, quello che mi accade.
Far sapere loro, da pagine lontane, che non ho dimenticato nessuno di quelli che mi hanno colpito. Nessuno e nessuna.
Non un occhio, non una vena, non una frase di quelle che hanno contato.

La verità, tuttavia, è che i rapporti sono asimmetrici. Troppo.
La verità è che il mondo non è poi così connesso.
La verità è che bisognerebbe avere più tempo per parlarsi negli occhi e perderne meno alla tastiera: chi ne perde più di me?
La verità è che sì, la mia intenzione era quella di far sì che voi, voi (soprattutto quelli che non sono qui a leggere, quindi non siete "voi" ma "essi") poteste riallacciare in qualsiasi momento un discorso avendo una minima cognizione di quello che mi sta accadendo... tenere sempre, ognuno, il bandolo della matassa; non poter mai dire: "Raccontami, non ci vediamo da tanto!", perché il più è già scritto e già letto.
Ma cosa ho detto, ho davvero detto?
Qualche volta, poche volte, ho detto davvero.
E allora che senso ha? Nessuno: nonostante che il mio miglior lettore, tal Cthulhu, la meriterebbe da solo, la gazzetta muore.

E' servita a conoscere persone, lo ammetto.
E' capitato che sconosciuti mi scrivessero, e ora possiedo un pezzo di loro.
E il nome. Come tutti ben sapete, I NOMI HANNO UN POTERE.

Ma quante cose non ho detto... Nemmeno gli episodi più importanti.
Ricordo di X e del primo bacio.
Ricordo di Y e dell'Argentario.
Ricordo il suo sorriso.
Ricordo di quando mi lasciò, e non ha mai avuto idea...
Ricordo di Z e della prima sera che abbiamo capito o deciso di stare insieme, di tutto quello che non le ho mai detto riguardo i cinque minuti che mi allontanai dal Velcamare, l'avevo appena riportata "a casa".
Ricordo frasi che chi ha detto non può ricordare, perché interessavano a me come rubini e diamanti, a lui, o lei, molto meno.
Presumibilmente, ho detto tante cose che altri ricordano, e io ho dimenticato.
Certamente, ho dimenticato tante cose che chi mi ha detto riteneva vitali.
Ricordo di aver preso sbandate per molte più ragazze di quante sia possibile averne, sbandate che passano.
Ricordo bene di non aver nemmeno avuto modo di dirlo a qualcuno, a volte.
E mi stramaledico per non aver detto tutto quand'era il momento, le troppe volte che non l'ho fatto.
Raramente per ragioni valide, il più delle volte per banale timidezza.
Ricordo di quando K, dopo che ci eravamo lasciati, mi invitò a dormire da lei ma io andai da un'altra che AL MOMENTO mi offriva di più. Che imbecille.
Lo scopo non è di elencare, ma di rassicurarmi sul fatto che arrivo anche a tempi remoti.
Per uno che ha quasi cancellato la propria infanzia, un buco nero misterioso che mi ha sempre dato da pensare, non è male.
E sì, ricordo le migliaia di volte che sono entrato in mare, come fosse un'unica infinita carezza. Solo in mare, o a Thurso, a Portsoy, dimentico tutto per un lungo, interminabile attimo.
Ricordo la prima volta che sono stato in Scozia ed ho visto com'era il mondo prima che l'uomo lo brutalizzasse.

Già, qualcuno potrebbe intuire un'ultima ragione per cui scrivo su queste "pagine".
Ricordare. Io stesso.
Avete idea di cosa significa rendersi conto che gli altri hanno profonda memoria della propria infanzia?
E io dov'ero? E quanto ricorderò, di quello che vedo ora?

Muore la gazzetta, ma anche a ricordare è servita e servirà.
"Quattro matrimoni e un funerale" è uno dei film più idioti che abbia mai dovuto sopportare mio malgrado, ma c'è una poesia recitata al funerale che va ben al di là della pellicola.
La morte della gazzetta la meriterebbe perché è una cosa seria.
Troverò il film solo per trascriverla.

Gli ultimi pezzi sono nella lista che segue, quando ci saranno altri scritti compariranno in ordine sparso, senza nessuna velleità di regolarità, cronologia, esternazione regolare.
A voi sembrerà poca cosa, e probabilmente non ha senso che vi tocchi più di tanto, ma per me non si riduce a questo.
La gazzetta ci lascia, ma soprattutto, MI LASCIA.

dal vostro Ubi


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