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L'esilio

Agosto 2002

E' difficile determinare la ragione per cui ci sentiamo più a nostro agio con l'anonimato universale delle Rete o, in generale, con l'abbandono delle nostre parole alla vista lontana di un conoscente, piuttosto che al contatto diretto.

Fa parte della natura schiva di certi temperamenti che sfogano così la loro irruenza costretta in una gabbia da altre forze, che passano dalla timidezza prima, alla consuetidine, a un malcelato autocompiacemento nelle proprie abitudini ormai rocciose quanto invalicabili.

Lo precede un passaggio nella carta, prima divorata avidamente da fiumane d'inchiostro incapaci di focalizzare un'idea, ad una fase addomesticata, pulita, oscillante tra la pulizia insopportabile del classico greco e sfumatore di ignobile barocco, nella quale perfino la scelta della penna più adeguata e della calligrafia più significativa fanno parte di un rito quasi faticoso, ricercato, delirante. Segue il salto nel buio, nella grande irretrice, dove l'autore è -per così dire- cieco, non conoscendo i destinatari delle sue missive, delle riflessioni prima anguste e ora aperte alle critiche, alla compiacenza e perfino al lazzo di casuali passanti.
In essi, egli ripone la fiducia di chi non ha modo di averne, l'ottimismo di chi non ha ragione d'essere pessimista, e un'unica confortante sicurezza: che non si sentirà mai schernito in quanto non ha orecchie che possano giungere nelle pareti domestiche del lontano ricettore.

Avrete di certo capito, miei cari lettori, che tra un sospiri di triste considerazione per le vie del mondo e un fumante tè di provenienza orientale, il vostro spassionato sta leggendo un libro di grande forza, capace di spingere alla scrittura proprio come un quadro di eccellente fattura rende le anime desiderose d'imparare a dipingere: "Esilio" di Bettiza, descrittivo fino all'eccesso, a volte ripetitivo, ovvero decisamente "vecchio stile" nei modi quanto intenso nei contenuti.

Giungo per libere associazioni ad un quadro di Dalì, ancora per un certo tempo a Roma, nel Museo del Corso. Un quadro che mette a repentaglio le resistenze che la mente oppone alla vista di se stessa e delle sue più recondite, ambigue, allucinanti pieghe.
Vi sono giunto in compagnia di un essere curioso, che ha necessità di toccare ogni opera d'arte che incontra. Per dirla tutta, su ogni sostanza che lo attira la creatura necessita di un riscontro da parte del tatto, per conoscerne la natura e le proprietà.
Non possiamo dire se si tratti di un'abitudine da riportare alle vette della sublime esigenza omni-sensoriale dell'arte contemporanea (e, in tal senso, verrebbe salutata con sorpresa e ammirazione dagli artisti del primo Novecento) oppure di una irrefrenabile, animalesca attrazione, come quella dei gatti per ogni sorta di odore che riposa nelle mani del padrone. Certo è che anche questo apparentemente insignificante dettaglio, il bisogno di una mano di sfiorare le pareti ruvide delle tele presso un'esposizione, mi riporta alla memoria tanti scritti che anni fa stimolavano la mia voracità per le riflessioni dei grandi sul senso dell'Arte.

Lasciatemi ancora per un po' a questo mio voluttuario quanto superfluo esercizio, a righe pompose che io stesso non sopporterei di leggere, giudicandomi pessimo autore. Lasciate che segua la pista tracciata da Bettiza, autore dell'Esilio che mi affascina molto più nei contenuti che nello stile, mi trascini in un peccato veniale quanto innocuo.
I contenuti sono infatti la sua forza prorompente, al punto da suscitare in me forti desideri di cui cado frequente vittima: il desiderio di viaggiare in quei luoghi che portano traccia di passati complessi e profondi, non ancora omogenizzati dalla piallatrice universale del XXI secolo, nei quali si possa ancora passeggiare tra mura ottocentesche senza venire abbagliati dal neon, storditi da odori di fritto omologato, assaliti da venditori di gadget orribili.
Desidero realmente vedere Spalato, e ancor più mi rattristano la caduta di Zara e di Ragusa (oggi Dubrovnik); veramente, sogno di viaggiare nei resti e nella decadenza di San Pietroburgo, di Riga e Bratislava.

Soffro di questa attrazione ogni volta che percepisco un'anima ancestrale aleggiare in luoghi che l'hanno ospitata a lungo, che mi convinco di poter vedere qualcosa di antico, nobile, orgoglioso, che possa riportarmi al tempo che fu.

Così, cado vittima delle immagini struggenti di Venezia in una qualsiasi pellicola di qualità, della morbosa curiosità sulle isole nelle quali si dissolve gradualmente il passato coloniale, delle tempestose passioni per la Praga di Milan Kundera, per la Russia intimista e coriacea delle steppe, della grande Pasqua, delle sinfonie.

Le città nelle quali le ribellioni, le pulsioni reazionarie, il miscuglio di razze e le genti nobili hanno convissuto a lungo sono quelle che m'irretiscono sopra le altre; in particolare quelle mitteleuropee fino all'Est del nostro continente, impregate di densa malinconia.

Vi lascio, o errabondi, con alcuni consigli: restando in tema di malinconie, il film più bello che mi è passato per le mani è "Solaris" di Tarkovsky, nell'edizione ora in DVD -credo integrale. Molti spezzoni sono in russo, perché la traduzione in italiano non fu completa (ma sono disponibili i sottotitoli). Trattasi di un particolarissimo film di fantascienza, lungo quanto triste e ricco di quelle riflessioni che sconvolgevano di certo le menti intellettuali e scientifiche di vari decenni orsono. Straordinario per chi ama il genere lento e malinconico, assolutamente da evitare per chi non sopporta la mancanza d'azione. Ancora qualche nota la trovate nella pagina delle recensioni

Infine, assaggiate gli ottimi tè del commercio equo e solidale CTM: il BOPE e quello al gelsomino, nelle scatoline di bambù intrecciato, che ho "scoperto" di recente con grande gusto. Evitate la "miscela indiana selezionata", ancora frutto del commercio solidale, che si trova comunemente nei supermercati.

Mi sembra di aver detto tutto e, sostanzialmente, di aver dato sfogo all'impulso di creare sotto la spinta ipnitca di "Esilio", che nel frattempo ho terminato di leggere. Un buon libro, non eccellente, ma che sono assai contento di aver avuto con me a Ferragosto, tra sole, nubifragi e more succose: anno straordinario per la raccolta del frutto, che sembra essere stato dimenticato dalla popolazione estiva degli ultimi anni.

Non cercatemi all'inizio di settembre... sarò molto lontano (eh, eh!). Buon post-ferie a tutti,

                      dal vostro Ubi

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Vi siete mai chiesti a cosa assomiglia il mio posto di lavoro?
Fernando mi ha ripreso, per la gioia dei grandi e dei piccini, prima delle vacanze.

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