Lo Straniero di Albert Camus - commento

CAP I

Lo Straniero è costruito di una materia insolita, l'apatia nel senso proprio del termine: "assenza di pathos".
Se questo era già stato sminuito dai veristi, con Camus la sua negazione assurge allo status di elemento primo della poetica e l'impiegato Meursault ne diviene il campione.
Non soltanto il protagonista rinnova continuamente il proprio invito a disprezzare le preoccupazioni per gli avvenimenti che lo circondano, con la frase "dissi che tanto per me fa lo stesso", ma effettivamente tiene fede alle proprie parole con un distacco evidente.
La prima sferzata dovrebbe arrivargli dalla morte della madre, che aveva, in primis per il bene di lei che altrimenti si sarebbe annoiata, lasciato in un ospizio ma, al contrario, la "faccenda" (altro termine caro alla traduzione italiana) non fa che apparirgli del tutto "naturale" (ancora, i termini non sono mai coloriti bensì richiamano alla logica, fredda necessità degli eventi).

Di certo un romanzo così radicale avrà colpito i contemporanei di Camus, tanto più che s'impone un espediente geniale: invece di raccontare in terza persona gli accadimenti, l'autore sceglie la prima persona, rafforzando il senso di straniamento della narrazione. Perché ci sembra, in questo modo, d'entrare nella testa del protagonista e tuttavia di trovarla desolatamente priva di ogni scatto, un allucinante mausoleo di ataraxà.
Se dovessimo forzare un paragone con la letteratura contemporanea di successo, ci verrebbero in mente i thriller imperniati sulle figure degli psicopatici, questo per dare l'idea della forza del testo.

Non ci si mette molto a realizzare che l'uomo al centro delle proprie insipide vicende è lo straniero: straniero non solamente al mondo ma anche a se stesso: nel senso di estraneo, che ispira scarsa empatia. Spesso egli prova maggiore interesse per il cane bastonato dal vicino, -"interesse" che tuttavia, mai arriva ad essere "compassione"- che per se stesso o per le persone che gli sono maggiormente vicine. Le sorti degli altri "vicini", dei conoscenti che chiama forse impropriamente "amici" lo "interessano", infatti, e tuttavia lì si ferma il suo ingresso nel mondo: sulla soglia dell'osservatore. Non è chiaro se egli sia semplicemente incapace di percepire la violenza dell'esistenza o se sia in qualche modo deluso da essa, d'altronde s'era già parlato di noia esistenziale (verificare?) e negli ambienti degli intellettuali le sue parole avranno trovato piena comprensione. E tuttavia vedere nero su bianco tradursi un concetto che permeava la filosofia, raggiungerne il cuore con un racconto rende appassionante ciò che non dovrebbe esserlo.
Un evento tragico chiude il primo capitolo, e il lettore anzitutto si chiede: quest'uomo, che ha potuto rispondere alla donna che vuole sposarlo: "per me è lo stesso" e che pensa che "una vita vale l'altra", mmanterrà il proprio freddo distacco quando sarà costretto a confrontarsi con il destino avverso?



CAP II

Il secondo capitolo somiglia a un lungo epilogo, nel quale la lezione kafkiana evolve in un nuovo aspetto proprio dell'alienazione dell'uomo moderno.
Viene ripreso il senso di distacco dalla società, l'impossibilità di capirne i meccanismi, la percezione oniricamente quasi confusa degli eventi che procedono attorno all'essere umano che non riesce a farne parte o a modificarne il corso; l'intero impianto narrativo scivola verso l'assurdo nel senso dato da Camus.

Sebbene il protagonista Meursault mostri sentimenti di timore e più spesso di fastidio per la propria sfortunata condizione, è la noia a soffocarne ogni manifestazione, fino a correggerne il tiro. Più che provare un sentimento, egli lo osserva in se stesso con distacco. Emblematico l'attimo in cui fissa la propria immagine riflessa nell'acqua e, pur sforzandosi di ridere, essa gli appare seria.
Teme di non poter ricordare le sensazioni che l'hanno accompagnato in una vita pur piacevole e tuttavia conclude che una fine vale l'altra.

La noia si concretizza nelle quattro mura di prigione attorno a lui; i suoni, le passioni del mondo esterno, l'odio che i "normali" gli rivolgono battono alle pareti ma il fracasso viene attutito fino a diventare mero fastidio, il suono dell'incomprensione. Alla fine tutto appare logico e scontato e l'uomo accetta il proprio destino, la cella in cui viene confinato, una partecipe rassegnazione.

Ci sarebbero molti altri aspetti del testo da esplorare. L'assurdità è il motore degli eventi che concatenano una teoria credibile quanto falsa. L'impiegato ne rimane schiacciato, ne diventa ingranaggio. Pirandellianamente, gli uomini attorno a lui costruiscono del soggetto un'immagine distorta, gli attribuiscono ogni sorta di malefatta, ipotizzano e fanno certe ipotesi sul suo movente, i suoi sentimenti, la sua storia. Nella società, l'uomo è vittima della stessa incomprensione che egli rivolge ad essa: la separazione è totale.
C'è una sostanziale differenza, rispetto ai personaggi dell'autore italiano: mentre questi ultimi cedono e finiscono per indossare la maschera che viene loro imposta, lo straniero di Camus si ribella fino all'ultimo e mantiene la propria convinzione, gioendo alfine dell'indifferenza e dell'odio che si conquista. Le descrizioni scarne, i personaggi poco delineati, tutto fa parte di un'ambientazione a volte onirica, a volte teatrale, minimalista, concorrendo a delineare i contorni del distacco tra l'osservatore e l'universo.
Lo Straniero compendia, nella formula compatta del romanzo breve, una collezione di elementi cari al Novecento che ne fanno un piccolo capolavoro anche se forse manca di un certo appeal per meritare il massimo dei voti.


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